Il capitalismo è morto, evviva il capitalismo

Nessuno ha il coraggio di ammetterlo, quasi sicuramente molti non se ne sono nemmeno accorti, ma la verità è che il capitalismo è finito, morto e sepolto.
Si continua a parlare di sfruttamento capitalista, di lobby capitaliste, di sistema capitalista come l’unico possibile per l’occidente e per il mondo intero come se l’attuale sistema economico fosse ancora fondato sul paradigma della capitalizzazione.
Max Weber identificò la nascita del capitalismo moderno con l’ascesa dell’uomo-capitalista legato ai valori dell’etica protestante, per il quale il lavoro e l’accumulazione di capitale rappresentano l’unico modo per essere in contatto con Dio e ricevere la sua benedizione nel regno dei cieli. L’etica del capitalismo consiste per Weber nel lavoro duro, costante e quotidiano volto all’accumulazione del capitale al fine di produrne altrettanto attraverso il suo reinvestimento nello sviluppo tecnologico delle proprie attività.
Il capitalista di Weber ha in sè forti valori etici e morali, timorato di Dio ma convinto che il regno dei cieli non si conquista per predestinazione come sosteneva il cattolicesimo tradizionale ed il luteranesimo, ma attraverso la conduzione di una vita terrena ligia al dovere, volta alla produzione ed al lavoro costante, ininterrotto.
Molto probabilmente quest’uomo non è mai esistito, o forse si. Sicuramente fin quando il paradigma economico dell’imprenditore capitalista consisteva nel reinvestimento del capitale nello sviluppo dei propri mezzi di produzione (qui non voglio tirare in ballo la condizione operaia) allora si poteva affermare di vivere, nel bene e nel male, in un sistema capitalista. L’esperienza italiana dell’Olivetti ha dimostrato che il compromesso tra accumulazione di capitale e rispetto della dignità del lavoro è, o meglio, era possibile e realizzabile.
Oggi invece, anzi negli ultimi dieci anni, di quell’etica del capitalismo non è rimasta traccia per due (tra i tanti) motivi essenziali.
In primo luogo il sistema economico attuale si fonda sul capitale finanziario e non su quello da lavoro. L’accumulazione della ricchezza industriale è legata non alla produzione di beni materiali ma nella sua quotazione in borsa. In questo Marchionne è un grande maestro. La Fiat produce macchine con un tecnologia vecchia di quasi vent’anni, non investe nello sviluppo tecnologico e tantomeno nella formazione dei propri dipendenti. La partita si gioca tutta sul terreno della borsa con una formula che definirei anticapitalista: quanto più un’azienda è capace di tagliare i propri costi, quanto più è capace di snellire il proprio organico, dal numero degli operai alla mole di esternalizzazioni, tanto più acquista valore in borsa. L’accumulazione di ricchezza, senza l’utilizzo dei mezzi di produzione e senza il reinvestimento del capitale in tecnologia e sviluppo della produzione si potrà chiamare in tanti modi ma di sicuro di capitalista non ha nulla.
In secondo luogo è facile constatare come l’etica dell’imprenditore se ne sia andata a puttane, e questa non è solo una metafora quanto un dato di fatto. Prendendo spunto dalla morte di Steve Jobs si può fare l’esempio della Foxconn, azienda cinese che produce iPhone, iPad, iPod, oltre ad avere commesse per Nintendo, Sony, etc., poi c’è amazon.com, la Coca-Cola, Nestlè, la stessa Fiat, tutte grandi multinazionali che l’etica l’hanno venduta in borsa già decenni fa. Tutto il capitale accumulato dalle società oggi viene distribuito tra soci, amministratori delegati, portaborse, leccapiedi che a loro volta lo utilizzano per vivere nel lusso, comprare panfili, megaville, insomma per i consumi privati, alla faccia dell’etica weberiana dello spirito del capitalismo.
Il capitalismo è morto e l’attuale crisi economica, per quanto voluta e ben calcolata, ne è la dimostrazione. Un sistema che rinuncia a produrre è un sistema che rinuncia a consumare, la ricchezza che circola oggi nel mondo è una ricchezza effimera, inesistente. E’ come la circolazione del denaro nel mondo del calcio, i soldi circolano all’interno di un circuito chiuso, girano tra le società senza essere messi a disposizione del territorio.
Le società per azioni possono anche non avere dipendenti a carico (sarebbe il loro sogno) ma acquisirebbero ugualmente ricchezza giocando in borsa, gettando nel baratro l’intero sistema economico, quello che dovrebbe mettere al centro la persona ed i suoi bisogni materiali.
La fine del capitalismo in senso stretto, che i sostenitori marxisti hanno auspicato per secoli, è arrivata ma nessuno se n’è accorto, è stata superata dalla finanza e dai giochi delle borse, delle agenzie di rating, dei tassi di interesse, dei Bot e delle diavolerie moderne. E per quanto sia fondamentale il ruolo dei gruppi di pressione anticapitalisti, allo stesso tempo oggi più che mai avremmo bisogno di un sistema economico basato sulla produzione, sullo sviluppo tecnologico e sulla continua lotta tra capitale e lavoro per il continuo milgioramento delle condizioni di vita dei lavoratori.

3 commenti

  1. Vi sono a mio avviso una serie di inesattezze in questo post. Per prima cosa, in realtà la teoria della predestinazione è fatta propria in modo particolare dai riformatori protestanti e arriva a distinguere, nella forma estrema assunta, proprio l’etica protestante da quella del cattolicesimo. Per il protestante weberiano, infatti, le opere non producono il valore “morale”, buono o cattivo, la cui somma finale calcolata da Dio permetterà l’accesso al paradiso o la discesa all’inferno, ma al contrario sono di per sé dimostrazione del valore del singolo e segno del suo essere predestinato al paradiso. La comunità dei credenti è una comunità di eletti, di già salvati. Da qui anche l’idea, presente fortemente nel pensiero sociale anglosassone, che il povero sia “uno che se l’è cercato”, per cui il capitalista protestante restituisce denaro alla “società” sotto forma di donazioni per scuole, parchi, biblioteche, persino panchine, non ai poveri o al singolo mendicante fuori dalla chiesa, la cui miseria è segno del suo essere un non eletto, un condannato.
    Seconda imprecisione, per Weber non era il capitalismo ad avere un’etica, ma il protestantesimo. Quest’ultimo aveva uno “spirito”. Io non credo proprio, e credo la storia mi dia ragione, che i grandi capitalisti abbiano mai avuto grande rispetto per le condizioni di produzione del surplus che li arricchiva, al contrario erano proprio le peggiori condizioni che permettevano il maggior profitto. Non bisogna certo arrivare alla coca cola o alla apple per trovare situazioni di sfruttamento dei lavoratori, di insicurezza, di miseria.
    Infine, la scollatura tra finanza e capitale produttivo è un segno del neo capitalismo neo liberalista, ma proprio essa ha prodotto la crisi attuale nel momento in cui è arrivata la resa dei conti tra ciò che nel mondo reale aveva un certo valore ed i valore virtuale prodotto dagli scambi finanziari. Non mi sembra assolutamente che questo sia un mondo in cui si produce meno, anzi, e l’enorme quotazione in borsa di apple, per fare un esempio, è il frutto dell’enormi fette di mercato conquistate negli ultimi 15 anni, e dell’enorme tasso di profitto realizzato anche grazie alle miserrime condizioni di lavoro degli operai cinesi. In tutto questo il capitalismo mi sembra vivo e vegeto, e solo più complesso nell’aver reso in parte, e sottolineo in parte, autonomo uno dei suoi livelli di presa sul reale, ovvero quello finanziario.

    • Certo, il riferimento sull’etica del capitalismo non era quella weberiana, ho solo usato (ma forse potevo fare a meno) il termine in modo omonimo, senza alcun riferimento all’etica protestante. Certo è che all’interno del movimento protestante bisogna scindere l’idea luterana da quella calvinista (alla quale fa riferimento Weber) e così via.
      Come scritto all’inizio del post, forse il capitalismo così come inteso nella teoria weberiana non è mai esistito e su questo sono d’accordo con te, ma la storia ha dimostrato che qualche barlume di “cooperazione” tra capitale e lavoro è esistito.
      I paradigmi dell’economia capitalista con quelli della finanzia sono, a mio parere, totalmente differenti. Basti vedere come ad un aumento dei capitali delle più grandi Holdings e Multinazionali non consegue un aumento della produttività e della produzione di beni.
      Per fare un esempio, se il Pil degli stati europei (in particolare quello italiano) ha grosse difficoltà a raggiungere livelli ottimali, se il mercato europeo vive una crisi economica dovuta anche alla produttività del lavoro (ecco perché si sta decentrando la contrattazione collettiva verso forme di distribuzione dei costi della crisi sui salari integrativi) e allo stesso tempo le più grandi holdings mondiali si arricchiscono ed acquisiscono imprese e società in difficoltà ciò vuol dire che la formula capitalista “accumulazione di capitale-reinvestimento-aumento della produzione-aumento della produttività-aumento dei consumi-aumento del capitale” non funziona più ed è palesemente in contrasto con la logica attuale della “ristrutturazione aziendale-taglio dei costi del lavoro-snellimento delle attività produttive-aumento del valore azionario-aumento dei capitali-aumento degli utili distribuiti”. Insomma, l’aumento del valore del capitale odierno non è basato più sulla produzione dei beni, ma sulle aspettative che gli azionisti hanno sulla loro qualità e sulla loro fetta di mercato.
      Per concludere, io credo che quello che è successo nei mesi scorsi nel rapporto contrattuale tra Fiat e lavoratori di Pomigliano e Mirafiori non contiene alcun interesse regolatorio dei rapporti di lavoro, ma è servito solo per dimostrare al mercato della finanza che la Fiat ha una posizione di forza sulla quale gli investitori possono scommettere.

  2. Il capitalismo è morto durante la crisi degli anni ’30. Paradossalmente a “resuscitarlo” sono stati socialismo e socialdemocrazia… Soprattutto la seconda ci ha illuso che il capitalismo “cattivo” e selvaggio fosse il passato, ha permesso molte conquiste ai lavoratori, soprattutto con la grande crescita del dopoguerra, ma nel tempo si è dimenticato cosa era successo e complice la decrescita mondiale degli anni 70 si è assistito ad un rigurgito del neoliberismo che ha portato allo smantellamento del welfare nel mondo anglosassone (Thacher e Regan) e dopo la caduta del muro anche nel resto d’Europa. Ora con le varie crisi del nuovo millenio si stà distruggendo quel poco che resta mentre i capitali sono sempre più concentrati nelle mani di pochi… Nonostante sia uno zombie non si arresta perchè non c’è più nessuna nazione socialista e la gente ormai pensa che il male sia il comunismo… anche mentre il cadavere del capitalismo la sta uccidendo. Siamo alla fine, non vedo all’orizzonte nessuna nuova rivolta, e le tecnologie militari moderne rendono l’esito di una rivoluzione popoòare alquanto scontato.. Noi poveri finiremo col combatterci a vicenda, per pura sopravvivenza.

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